Pranziamo tutti insieme e io scrivo i nomi sui bicchieri che è come dare spazio, nel mio la E ha una gambetta più lunga. Faccio una foto al volo ai nostri due nomi vicini e poi riempio. uno due tre via. pieno e poi vuoto continuamente, come il cesto della biancheria da lavare, come il cuore di chi non si accontenta. Tengo ago e filo blu nella borsa anche se non so cucire, aspetto il momento giusto per imparare, che sta tra il momento in cui si scucisce il terzo bottone e il momento in cui sono felice.

solleone

Succede che con il passare dei giorni il sabato rimane senza parole. Resta così, immobile ad aspettare di finire, come quando i prigionieri di palla avvelenata non possono liberare. Abbiamo il sonno leggero in macchina, il mio letto diventa il tuo petto e senza rendercene conto stringiamo il patto di stare scomodi ma vicini. Ci svegliamo quattordici volte ma una è quella decisiva e dobbiamo riabituare gli occhi al resto. Le parole ci escono come se stessimo risolvendo un cruciverba, a volte anche guardando le soluzioni all’ultima pagina. Io inizio dalle definizioni verticali,

verticalifragilistichespiralidoso.

Silenzio, castagne, stagnola, mandarino sbucciato a fette e tè nero, che diventa subito autunno in sedici secondi. Invece tu per esempio sei l’estate, con il mare sotto le palpebre che mette di buonumore. Mentre canti trattengo il respiro come da piccola nella vasca da bagno con i capelli che ondeggiavano nell’acqua, leggeri. Credo che in piscina bisognerebbe andarci senza la cuffia. Mangio granelli di sale grosso e penso che basta abituarsi. abitarsi. Smetterla di tenere i mignoli alzati mentre beviamo e intingerli nelle tempere, nelle bocche, nel miele. Torno a casa e anche se non ho un pigiama riesco a sentirmi comoda, a non darmi fastidio. non pensare male,

pensa a me.

 

 

 

Lo amo.

Con i proverbi e i modi di dire ti amo, senza affogare in luoghi comuni, come il parco giochi o il municipio. Aspetto il giorno in cui ti cucirò un bottone staccato dalla camicia per la prima volta, con cura. Ti dedico quella canzone degli artemoltobuffa che dice se ti duole la caviglia ballo io per te. E’ che più che guardarci guardiamo insieme nella stessa direzione, che a dirtelo ora mi sento un po’ fabio volo. Posso descriverti le cose con le immagini, sto diventando brava. Qui, ad esempio, ero al concerto di Boosta che per quanto possa fare schifo non lascia vistose cicatrici, ecco, qui credevo di ballare e invece ero immobile, e ho scoperto che dentro è diverso da fuori. E qui invece ho comprato un campanello per la bici rosso a pallini gialli, la stessa tinta dei miei calzini nella foto del primo giorno di scuola con lo zaino enorme e il grembiulino bianco. I maschi invece dei bottoni avevano la cerniera e un sacco di altre cose più comode. Rivivere. Piangere per sentire il diaframma.

sono una scatola piena, in piena.

Il tè caldo fori stagione, fuori di testa. Mi presento, stringo le mani guardo negli occhi zoom 2x, se mi ricordo imposto pure macro digitale sul neo sopra il labbro, sul ciuffo spettinato, sulle ciglia lunghe. Tra un attimo non ricorderò la vostra faccia tantomeno il vostro nome, che senza rullino occupi solo spazio nel mio pc. Poi comincio a sorridere a random, accendo delle sigarette per giustificare la mia disattenzione e guardo, tutto. Imparo a memoria le persone come le poesie da recitare a natale in piedi sulla sedia. qualcuno sempre che gridava con sentimento! E poi può capitare che i sorrisi diventano veri e traccio linee e cerchi attorno a te come a dire stai qui non voglio perderti. E poi può capitare una volta nella vita che ti regalo la prima cosa che trovo nella borsa e i miei occhi si trasformano in cuori/ciliegie/navicelle spaziali e ti dico vuoi mezzo orociock?

addirittura.

Leggo la prima pagina di un libro che ho comprato ma non ho avuto mai il coraggio di leggere, è grigio, e penso Istambul è una parola bellissima. E’ una parola che è anche lo slogan di se stessa, non ha bisogno d’altro. Domani l’avrò già dimenticato ma qualcuno lo ricorderà mentre compra un tappeto da tenere in salotto o sente tintinnare le chiavi inserendole nella sessatura, casa. i colori pesanti che coprono tutto verdescuro arancio viola bordeaux. Ti ho accarezzato in silenzio e ho sentito il cuore che ti voleva uscire tra le costole ho sentito le onde del mare spezzarsi sugli scogli tutto questo ho sentito, ed era tutto vero. *

* ho deciso che sei mio

I profumi si incollano alle mani così bene che neanche te ne accorgi, ma poi a un certo punto ti viene voglia di mangiarti le unghie di stropicciarti gli occhi e ti accorgi dell’arancio che hai sbucciato per merenda, del rosmarino per l’arrosto o di lui che quando l’hai accarezzato ti è rimasto tutto tra le dita. Pensavo che ogni giorno è un giorno di sole – everyday is sunday. e poi mentre pensavo è successo che a settembre andiamo a sentire i sigurros. Che se io fossi una parola sarei Sì e se tu fossi una parola saresti Sì e se ci chiamano ci giriamo tutti e due, come gli scherzi in terza elementare prima di vale1 e vale2.

Per farmi compagnia mi racconto una cosa che mi è successa alle superiori, quando mi sono svegliata ubriaca a casa di S. e non mi ricordavo niente ma avevo addosso i pupazzi che si infilano uno per dito, il mio preferito era il coccodrillo e ho inventato uno spettacolo bellissimo. Gli animali di peluches mi sono sempre piaciuti ma preferisco le cose vive, tipo te. Ti guardo da sotto e mi sento persa, più precisamente mi sento quella sensazione di quando ti sei perso e ogni cosa che vedi diventa improvvisamente importante, salvezza. io vedo te.

mi fai perdere e ritrovare in sei secondi netti.

che bellezza.

Mi sveglio e ti dico ho fatto un sogno che è uguale al tuo solo che nel mio la gonna era corta. Poi mescolo i pensieri con il cucchiaio di legno e le onde del mare diventano rondini a testa in giù. Stiamo seduti nel bosco su mezzi tronchi di alberi tagliati, io quello un po’ più alto tu quello un po’ più basso, anzi prendiamo la quercia secolare che è larga e ci possiamo buttare se chiudi gli occhi è un letto matrmoniale. ridateci gli alberi interi, per arrampicarci. Scopro quanti anni hai contando i tuoi anelli dall’esterno fino al centro e ci pianto la tenda proprio lì, per restarci.

appoggio lo zaino sull’erba, ti posso dipingere?

Tengo gli occhi spalancati così entra più luce, la tengo da parte per quando vieni a letto al buio in punta di piedi per non svegliarmi. Giochiamo a nascondino: io ti cerco. poi quando ti trovo, ti trovo bellissimo.

Un giorno c’era il tramonto e io avevo i piedi nel mare gelido. era lo stesso giorno che mi pizzicavano le labbra perchè avevo un rossetto di tempera rossa disegnato col pennello sulla bocca. E se facciamo un gioco in cui il cuore ci va in pezzi? no, grazie. toccare le cose fa venire in mente le persone, toccare le persone fa venire in mente le cose, toccarsi con i maglioni fa venire in mente quant’è bello toccarsi senza i maglioni. Abbassa la musica, non ti sento respirare. Nei sacchetti di carta marrone, che sono i miei preferiti.

Un altro giorno invece ho trasformato un pegno in un impegno.